martedì 6 dicembre 2011

Tempo del Tempo


Ieri notte, erano circa le due, stavo tornando alla mia auto, attraversando le piazze, quando ho sentito alle mie spalle dei passi, tacchi di donna, tacchi a spillo, sentivo che seguivano me, saranno stati almeno dieci metri più in dietro. Mi girai per vedere chi portava quelle scarpe, ma non vidi nessuno. Proprio allora sentii un sospiro nella mia mente, un sospiro di donna. Mi guardai attorno, non capivo cosa stesse succedendo. Riprendendo a camminare dietro a me ricominciarono i passi, ma ora si era aggiunto un respiro, dato che camminavo io stesso più veloce, anche lei aveva accelerato il passo che si infondeva nella mia mente.
Ero decisamente turbato, quasi correvo, girandomi di tanto in tanto, senza vedere nulla. Poi mi fermai sentendo una voce soffice che mi chiamava. Questa voce la conoscevo, era la sua. Mi girai nuovamente, e questa volta mi sembrava di vedere qualcosa, un'ombra. Sì, solo un'ombra, lì a pochi passi da me. La Sentii dire. — Oscar, chiudi gli occhi e dammi un corpo. — Annuii, inconsapevolmente li chiusi e mentre li riaprivo cominciai a vedere qualcosa. Apparvero due occhi, splendenti, di un celeste che credevo potessero essere solo di una persona. Avevano una luminosità fantastica. Mentre mi perdevo in quegli occhi, non mi accorsi che era comparso anche il resto del corpo. Mi stava sorridendo. Aveva i capelli lunghi, mossi dietro le spalle, pettinati all'indietro, con un ampio ciuffo verso destra, che copriva parzialmente la fronte abbastanza ampia. Sembrava lei. Anche la sua altezza, non tanto alta, ma giusta per il suo corpo. Pensai che dovesse aver freddo per come era vestita. Un abitino nero, che lasciava scoperte le braccia e da sotto la mini delle gambe mozza fiato, davvero come le sue, inguainate in calze nere e scarpe con tacchi a spillo come avevo sentito sul selciato.
— Non so cosa sia il freddo. — Anche la voce sembrava la sua.
— Chi sei? — le domandai.
Sono chi vuoi tu, se vuoi. Non sono nessuno, se tu vuoi. — Restò lì a guardarmi. — Stavi pensando a una tua amica. Se vuoi posso essere una tua amica.
— Mi leggi nel pensiero? — Le chiesi guardandola di sbieco. Non capivo cosa volesse da me, perché avesse preso la sua forma, sì stavo pensando a lei, ma non aveva il diritto... — Se tu lo vuoi, sì. — Aveva un tono esasperante di sottomissione, non era certo da lei, era chiaro che non poteva essere lei, ma le assomigliava così tanto. — Perché me? — Le chiesi senza nemmeno capire perché facessi quella domanda, o che domande porle successivamente, ma forse ero convinto che qualcosa dovevo pur chiedere. — Perché ho sentito una chiamata, proveniva da qui, e mi sono trovata nei tuoi pensieri. — La risposta era certamente strana, ma cosa c'era di normale in questa storia, non so.
Mi guardai attorno, mi venne un brivido lungo la schiena, forse una certa ansia, rimase solo il grande freddo che c'era lì attorno, e lei, che non sapevo cosa, o chi fosse, anche se somigliava ad un'altra lei.
L'unica cosa che mi venne da dire e fare fu di togliermi il giaccone per metterlo attorno alle sue spalle. — Tieni, almeno non prendi freddo, hai dove dormire? — Lei non rispose, ma sentii nella mia mente un qualcosa che sembrava "cos'è dormire".
Cosa voleva dire, non capivo, ma una cosa sola era certa, non l'avrei lasciata così al freddo, le dissi ancora — Seguimi, vediamo un po' cosa facciamo adesso. Anzi meglio dormirci sopra stanotte, domani mattina decideremo cosa fare. Se esisti davvero. — Certo che esisto... — fu tutto, io non dubitai delle sue parole, non mi passò nemmeno per la testa, avrei aspettato la mattina dopo, magari scoprendo che si trattava solo di un sogno, che magari non mi sarei neppure ricordato. Sta di fatto che poco dopo saliva nella mia auto, ora sentivo anche il suo profumo, era tale e quale a quello di lei. Non parlavo, eppure pareva che lei conversasse con me nella mia mente, mi stava perquisendo il cervello. — Smettila! — Le dissi. — Come vuoi, non penetrerò più nella tua mente, se tu non vorrai. — Perché devi farlo? — Mi guardò con un faccino dove risaltavano i suoi occhioni, mi veniva voglia di coccolarla. — Perché vorrei conoscerti. — disse semplicemente lei — se vuoi puoi fare anche tu lo stesso con me, apri la tua mente e penetrerai nel mio essere totale.
Per lei era semplice da dirsi, era capitata qui così, io non la conoscevo, non sapevo nemmeno da dove arrivasse. — Ma chi sei tu, da dove arrivi. — Le chiesi sperando in una risposta.
— Potrei essere lei. Oppure essere qualcun'altra, a te importa veramente?
Non ero sicuro che importava qualcosa chi fosse, anzi non sapevo neppure cosa importasse veramente. Senza volerlo provai come la sensazione d’aver aperto la mente a lei per sondarla a mia volta, scoprii dei colori che non conoscevo. O forse semplicemente erano dei toni visti in modo diverso da quelli che normalmente si possono vedere, ah non è che io mi intenda di colori, solo che in quel momento era tutto così strano. Poi abbandonai il contatto per seguire la strada, mi sembrava comunque di volare, ritrovandomi davanti alla porta di casa. Le spiegai cosa voleva dire dormire. Lei mi disse che già sapeva. Le indicai dove poteva dormire, il mio letto, lei fu d'accordo, io riparai sul divano.
Forse per il fatto che la notte era già molto avanti, o forse anche per la scomodità del divano, mi svegliai la mattina successiva con l'odore del caffè nelle narici, e la schiena a pezzi. Mi alzai di soprassalto, ritrovandomi sul divano, con una coperta. Mi ricordavo di una strana storia, ma forse non era stato tutto un sogno. Forse ero così stanco che mi ero sdraiato davanti al televisore, svegliandomi solo ora. Stanco? Probabilmente avevo alzato troppo il gomito.
Ma ora, il profumo del caffè ed i rumori provenienti dal cucinino mi fecero subito venir in mente che forse qualcosa quella notte era accaduto. Le stranezze si concretizzarono di colpo. — Due cucchiaini, vero? — comparve lì sulla porta, aveva solo una sottoveste nera bordata di pizzo, ed io ero lì a bocca aperta. — Samantha, cosa fai qui? — lei mi guardò sorridendo. — Sì. Sapevo che lei si chiama Samantha. Te l'avevo letto nella mente.
Ma proprio non ricordi nulla di quello che è successo questa notte. — Mi stava guardando con un'aria interrogativa. — Sì. Certo ricordo, ma credevo fosse solo un sogno — Ero lì, davanti a lei interdetto, con la bocca spalancata. Poi voltai la testa e guardando fuori dalla finestra il celeste del cielo, i suoi occhi, pensai "a quanto pare stanotte non è stato un sogno." Non sapevo cosa dire, cosa pensare, certo che veramente era una cosa strana. Già durante la notte mi ero chiesto chi poteva essere e da dove venisse. E ora era qui di nuovo davanti a me. In effetti la mia domanda era "ma da dove è venuta fuori questa".
— Questa ha fatto un salto temporale e spaziale per raggiungere una tua chiamata. Questa ha preso le forme che tu gli hai dato. E se queste forme che tu gli hai dato sono quelle della donna che ami, io non ci posso fare nulla... — sembrava arrabbiata, o no, forse solo seccata. Ma doveva capire lo sbigottimento di ciò che era successo. — Mi leggi davvero nella mente. — le chiesi indispettito, solo allora mi era venuto in mente che già durante la notte era successo, ed io le avevo urlato di smetterla.
— Sì, riesco a capire quasi tutto ormai, non c'è molto di difficile, anche se c'è qualcosa che non riesco a capire, è la sensazione che provi nei confronti del corpo che mi hai destinata. Sembra un'onda del mare, o un uragano. Qualcosa di molto forte e agitato.
Mi stava analizzando, stava scavando nel mio cervello, scopriva tutto quello che avevo dentro, non era giusto, ma non avevo la forza di vietarglielo, o impedirglielo. Era un casino. Ma forse no.
Fui improvvisamente preso da un’idea, quella di telefonarle, con la mano presi la cornetta e composi le sei cifre che mi frullavano spesso nella mente, dopo due squilli sentii la sua voce dall'altra parte del telefono. Uguale. Ma era proprio lei al di là.
— Ciao Samantha, come stai. — le chiesi come al solito... Era proprio lei indubbiamente. Avevo avuto anche questa verifica, dopo averle parlato qualche minuto di domande e risposte, ritornai alla Samantha che stava davanti a me.
— Siediti. — le dissi indicandole il divano accanto al mio. Lei si sedette sullo stesso dove ero seduto io, aveva letto ancora nella mia mente, stavo pensando che se fosse stata Samantha l'avrei fatta sedere accanto a me. — Raccontami tutto quello che ti riguarda. Dall'inizio. — le dissi puntando l'indice nel palmo della mia mano. — fino ad oggi. — puntualizzai.
"Io sono nata stanotte, dalla tua mente, prima? Prima era prima, ora è solo adesso e poi."
Mi venne il panico, che discorso era. Non sapevo da dove cominciare per chiederle di ricominciare con la sua spiegazione. — Ricomincia, non ho capito gran che dalla tua spiegazione... — stava per riprendere con la stessa storia — Ferma, rispondi solo alle mie domande.
Lei mi guardò accondiscendente come al solito, mi imbarazzava, non sapevo da che parte cominciare, mi perdevo nei suoi occhi. Lei sospirò. — Prima di stanotte dov'eri? Cos'eri? — Ero in un altro tempo, su un altro pianeta, o una cosa simile a un'entità che tu chiami pianeta, qualcosa con una forma sferoidale, come sembra il posto, l'entità solida dove vivi. Cos'ero? Questo è un po' un problema spiegarlo con parole tue... se ti può bastare ero una specie di corpo gassoso, un'intelligenza "gassosa"... Che bella la sua voce, mi ripresi. — Una specie di anima, una specie di coscienza. — cercavo di avvicinarmi a quello che voleva dire.
— Una luce, un alone, un qualcosa. — forse voleva precisare, ma un qualcosa poteva essere un tutto. — Certo per quello che ne sai di tutto, potevo essere anche un tutto. Dov'ero, mi avevi chiesto? Ma sarebbe più giusto dire quand'ero. Infatti il posto era questo, in termini di spazio, solo che tra dieci milioni di anni in questo posto ci sarà un altro pianeta, il mio appunto. — E perché sei arrivata qui? — le chiesi ancora. — Perché, perché, quante domande. Se proprio vuoi una risposta, sei tu che mi hai chiamata. Vorrei riuscire a spiegarti quello che sei per me, che è la stessa cosa che io sono per te. Io sono te fra dieci milioni di anni... — Come può essere? — Lasciami finire. Non è proprio così, ma quasi. Io sono la parte di materia che occuperai te allora. — la stavo di nuovo per interrompere, ma lei alzò la mano per fermarmi. — Sono qui perché ho avuto un lungo richiamo, il tuo. Un angoscioso richiamo, che non mi lasciava più vivere. Era parecchio tempo che vivevo uno stato d'ansia terribile, e cercavo di capire il perché. Solo dopo degli studi approfonditi, estremi calcoli matematici ho trovato l'entità Oscar del pianeta Terra in uno stato paradossale, e forse ho anche capito perché. — Perché? — le chiesi io, che sapevo di avere ormai da tempo una leggera depressione, ma da quello che sapevo io i motivi erano vari, e nessuno veramente vitale. — Perché tu vuoi una donna, una donna speciale, una donna che ti strugge, alla quale pensi di continuo. Una donna alla quale dai importanza più di ogni altra cosa, tanto che quando ti ho chiesto di darmi un corpo mi hai semplicemente dato la sua forma, e ora forse un po' alla volta sto prendendo anche i suoi pensieri, vista la sua vicinanza, sento anche lei e la sua forza che ti penetra. Lo sai che ha una grandissima forza d'animo.
Annuisco, anche se credo di essere veramente sconvolto. Sentire una verità così drastica, ma così reale. Perché molte cose già io le riconduco a Samantha, la vera Samantha, la donna che mi ha in un certo senso stregato.
— Ma sei sicura che io sia il tuo corrispettivo, odierno. Non potrebbe essere che tu sia il corrispettivo della donna che desidero. — Io posso andare solo dal mio corrispettivo. Il viaggio nel tempo è scrupoloso, può avvenire solo nel luogo e nel tempo in cui esiste un corrispettivo materiale, io sono te stesso, io sono composta della tua stessa materia, io sono nella tua mente da sempre, come te sei nella mia da sempre, non potrei andare da nessun altro se non da te. Potrei essere sul mio pianeta, ora e nello stesso tempo essere qui con il pensiero, come sono adesso, non riempio un vuoto, riempio un'idea, quella che tu mi hai dato. Sono un'immagine reale nell'immaginazione virtuale che hai della vita. Sono te in modo diverso, sono ciò che tu pensi, e ciò che più vuoi.
Allibito, ora non sapevo proprio cosa dire, mi trovavo di fronte la verità, e nello stesso tempo non volevo più vedere l'immagine creata da me, ma volevo solo vedere la Samantha vera, sapere che era lei che volevo, solo lei, non una sua immagine, e vedere la sua immagine che mi sorrideva accondiscendente perché vedeva che stavo per risolvere il mio problema, e avrebbe voluto poter fare di più.
Ma di più, cosa avrebbe potuto fare di più, sentivo questa sensazione, il mio problema era questo, dovevo affrontare il problema, darmi a questo problema completamente, ogni attimo della mia vita, ogni battito del mio cuore.
Ma forse il problema maggiore era Samantha, la Samantha vera, non certo la Samantha arrivata dalla mia congiunzione. Ma sentivo uno stimolo nella mia mente che mi diceva che se ero veramente convinto, che se veramente ero disposto, che se veramente mi interessava, nulla poteva essere se non quello che volevo. E tutto questo lo sentivo mentre mi perdevo in un azzurro quello dei suoi occhi, sempre più immenso, sempre più totale, mi resi conto che mi trovavo all'aperto, sotto il cielo più azzurro che mai avessi visto.
Ero solo, ma felice, avevo sentito una voce, la sua voce che mi chiamava nell'immenso, la voce di Samantha, quando arrivai a casa sentii il telefono squillare, alzai la cornetta, sapevo chi era. Samantha.

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